Perché è necessaria una legge nazionale su disagio lavorativo e mobbing

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Perché è necessaria una legge nazionale su mobbing e disagio lavorativo ?  A cosa serve ?
Il secondo intervento dell’avvocato Alessandro Rombolà alla Tavola Rotonda del convegno del 16 marzo scorso ha risposto alle di Mariangela Rumine, moderatrice del dibattito:

“In virtù della sua formazione giuridica, vorremmo sapere come impatta l’assenza della legge nazionale a livello regionale e sulle azioni possibili a chi si rivolge ai centri territoriali ?
Perché il fatto che non ci sia una legge nazionale è un dato negativo ?”

Lo sportello di Medicina Democratica si rivolge ai lavoratori che si trovano in situazioni di disagio  
con un taglio molto pratico e operativo.
Con Gino Carpentiero, Liliana Leali e tutti gli altri amici che collaborano allo sportello di Medicina Democratica, facciamo un vaglio molto rigoroso delle situazioni per verificare se è il caso o meno procedere all’azione legale.
Facendo un calcolo di tipo statistico, su 10 casi ne passiamo 1, forse 1 e mezzo.
Questo anche per non dare troppe illusioni ai lavoratori.

Quindi il problema esiste e la mancanza di una legge che ci dia gli strumenti operativi per intervenire costituisce il lato negativo dell’esperienza.

In sostanza, il lavoratore dovrebbe fare certe cose per tutelarsi ma non esiste un sistema normativo che gli consenta di far valere i suoi diritti.

Chi avrà interesse potrà vedere il progetto di legge nazionale che, in questi anni, è stato rivisto e rimaneggiato tenendo conto anche delle osservazioni di coloro che si occupano del problema.


In sostanza i punti che impattano negativamente sulla situazione attuale sono 3:

1. La NOZIONE di MOBBING

Innanzitutto, il primo punto è definire cos’è il mobbing, quindi la nozione.
Giustamente Enzo Cordaro faceva una distinzione tra il disagio lavorativo e il mobbing che, obiettivamente, presentano delle diversità. Quindi in questa proposta di legge nazionale si cerca di distinguere il mobbing dagli altri disagi lavorativi che inducono danni e patologie psicosociali.

2. Gli STRUMENTI processuali

In secondo luogo, fondamentali sono gli STRUMENTI processuali.
Perché, spesso e volentieri, pur capendo che il lavoratore ha subito VESSAZIONI, dobbiamo, NEL SUO INTERESSE, consigliargli di non fare nulla?  La risposta è: perché poi non abbiamo gli strumenti processuali adeguati, che riguardano sostanzialmente due aspetti:

A. L’ONERE DELLA PROVA è ora a carico del lavoratore

Prima dicevo di un giudice che si trova ad applicare una legge che non esiste.
Ora l’interpretazione che da la giurisprudenza (e tutti quelli che lavorano nel settore lo sanno bene) è devastante perché la giurisprudenza, soprattutto negli ultimi anni (fino a qualche anno fa la stessa Cassazione si muoveva in maniera diversa), chiede una PROVA rigorosissima del fatto illecito, cioè della condotta illecita da parte dell’azienda.  
In sostanza il lavoratore deve provare tutto.

Non solo: una volta provato il tutto, il lavoratore stesso deve quantificare il danno.
Ora non voglio allargare troppo il discorso ma devo aggiungere un’altra grande criticità.

Si tratta delle battaglie che con Carpentiero facciamo quotidianamente con l’INAIL perché, non essendo comprese tra le malattie tabellate le conseguenze patologiche del disagio lavorativo, tutto l’onere della prova è a carico del lavoratore, anche la dimostrazione del nesso di causalità tra la condotta illecita e la patologia.

Allora il disegno di legge prevede un punto molto importante: l’INVERSIONE DELL’ONERE DELLA PROVA.
Oggi si vincono le cause non se si ha ragione, ma se si riesce a provare che si ha ragione.
E oggi, in materia di mobbing, tutto il sistema è congegnato in modo tale che tutto sia a carico del lavoratore.

B. I COSTI

Altro problema sono i costi ed è un problema di carattere generale.
Oggi chi ha la sfortuna, la disgrazia, di imbattersi in una causa civile sa quanto costa una causa civile.
E non parlo solo dei compensi professionali dell’avvocato ma anche dei costi delle perizie, del contributo unificato che lo Stato richiede, ecc.. Sono cose che alle persone vanno dette.
Ecco un altro motivo per cui, lo ripeto, su 10 casi, solo uno e mezzo, forse, passa all’azione legale.

3. Isolamento e CONSEGUENZE PER LE FAMIGLIE

Prima si parlava dell’isolamento nel senso che spesso il lavoratore non sa a chi rivolgersi.
E giustamente si è parlato anche degli effetti che il disagio vissuto dal lavoratore ha sulla sua famiglia.
Un lavoratore, una lavoratrice che è vittima di mobbing porta grosse problematiche a tutti i livelli per tutta la sua famiglia, per tutto il nucleo famigliare.
Allora in questa proposta di legge si cerca di ovviare, almeno in parte, a questo problema coinvolgendo le associazioni sindacali le quali, nell’ambito del processo, dovrebbero avere un ruolo ben preciso e, quindi, dovrebbero poter intervenire.

 

L’IGNORANZA è il problema di fondo

Concludo con una osservazione generale, cercando di dare una risposta complessiva alla domanda.
Qual è l’aspetto più negativo che riscontro alla luce di questa esperienza ultradecennale ?
E’ l’ignoranza sulla materia.
Questa ignoranza si ripercuote sulla possibilità di individuare le cause delle patologie, a livello dei medici.

Infatti, nell’ambito dei processi, spesso e volentieri non troviamo dei medici adeguatamente preparati che, chiamati dal giudice, siano in grado di dire se quella persona soffre di certe patologie e, soprattutto, qual è la causa di queste patologie: questo è il punto fondamentale.
C’è molta ignoranza e c’è una grave sottovalutazione del problema.

Ecco perché le associazioni, Gli Amici di Daniele e il Centro Lavoro Sereno, Aibel, Medicina Democratica, tutte le associazioni, sono fondamentali.
Perché finché non si fa capire con i giusti messaggi quanto sia dannoso il mobbing, è chiaro che i risultati sono quelli che vi dicevo sino ad ora.

È un lavoro estremamente complesso, estremamente difficile.
Convegni come quello di oggi sono un piccolo mattone per far capire l’importanza di queste problematiche.

 

Testo a cura di Nunzia Pandoli

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