Limiti, punti deboli e difficoltà secondo il dottor Nolfe del Centro Clinico di Napoli

In questo articolo i limiti, i punti deboli e le difficoltà da superare nella visione del dott. Giovanni Nolfe, responsabile del Centro Clinico di Psicopatologia da mobbing e disadattamento ASL Napoli1 illustrata nella seconda parte della tavola rotonda che si è svolta il 16 marzo scorso a Firenze.

1. Non possiamo intervenire nelle organizzazioni

Prima dicevo che noi interveniamo sugli individui.
Naturalmente quando parlo degli individui parlo anche delle famiglie e dei sistemi di relazione che sono significativi per gli individui.
Però non abbiamo nessuna possibilità di intervenire sulle organizzazioni del lavoro, né con una funzione di mediazione, né con una funzione di approfondimento, né con una funzione di suggerimento.

Questo a mio avviso è un grave handicap in una struttura che prenda veramente in mano la questione del disagio lavorativo a pieno titolo.

2. Mancano norme che garantiscono stabilità e continuità operativa ai Centri 

Un altro aspetto problematico è la fragilità della collocazione, dal punto di vista normativo, della struttura della mia struttura, come di altre.
Prima il Enzo Cordaro diceva “quando è morto il prof. Monaco, quando è morto Pastore si sono chiusi i centri clinici. Quando io, Enzo Cordaro, sono andato in pensione, il centro clinico, se non è proprio chiuso, è gravemente ammalato”.
Tra queste ipotesi, voglio fare per me l’idea che un marziano mi prenda e mi porti su un altro pianeta: probabilmente il mio Centro clinico farà la stessa fine.
Perché se non c’è una formalizzazione questi centri clinici sono sempre un po’ soggetti:

  • agli umori di un direttore di turno
  • soprattutto, sono centri che culturalmente non fanno figli, cioè eredi preparati e capaci di continuare l’attività.

Questo è un problema serio perché il destino dei centri è segnato se non c’è nessuno che può proseguire l’attività e prendere il testimone con competenza.
Il Centro Clinico deve essere fertile e, per essere fertile, deve avere una sua collocazione normativa chiara che dia stabilità e continuità.
Anche se in Campania abbiamo la legge regionale che ha dato un po’ di solidità al mio centro, questo aspetto è ancora parziale.

3. La società e gli stessi operatori sottovalutano il tema della salute mentale nei luoghi di lavoro 

Un altro punto problematico è la difficoltà a entrare in una relazione di dialogo con le altre agenzie sanitarie e con le altre agenzie sociali.

Ad esempio, nel 2007 in Europa c’è stata una call per la salute mentale e, tra i 5 punti di intervento per la salute mentale, c’era la salute mentale nei luoghi di lavoro, insieme allo stigma, insieme al suicidio, insieme agli esordi psicotici, insieme alla depressione.

La salute mentale nei luoghi di lavoro è uno degli argomenti più ignorati nei dipartimenti di salute mentale, uno dei meno messi in rilievo.

Questo è un limite grave, è un gap culturale che, se l’abbiamo noi stessi come psichiatri, come psicologi, come operatori della salute mentale o della medicina del lavoro e della psicologia del lavoro, non possiamo poi sorprenderci se lo vediamo nella società nel suo complesso.

Questo è il limite di fondo della situazione ed è il lavoro da fare in futuro.

 

Testo a cura di Nunzia Pandoli

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