Risposte al disagio lavorativo: conclusioni, direzioni di lavoro e proposte

Nunzia Pandoli

La tavola rotonda del convegno “Risposte al disagio lavorativo” del 16 marzo scorso si è conclusa con la sintesi di Nunzia Pandoli che riportiamo qui di seguito.

Grazie, grazie tantissimo tutti voi e, soprattutto, a chi è venuto da lontano per aiutarci a chiarire alcuni punti.
Mi avete lasciato il compito più difficile: quello di fare la sintesi di una discussione quanto mai ricca di spunti. 
Ci provo.
Innanzitutto c’è un filo conduttore comune a tutte le esperienze delle varie regioni, sia per le cose positive che sulle difficoltà e sugli elementi da approfondire per verificare poi se concordiamo sulle direzioni da prendere.

I punti in comune

1. Il disagio sul lavoro è un FENOMENO SISTEMICO 

Tutti concordiamo sul fatto che affrontiamo un problema sistemico: è delle persone, è della società, è delle aziende, ed è delle famiglie.
Un problema sistemico è un problema molto complesso che, proprio per questa sua natura, deve essere affrontato a 360 gradi e in tutte le sue sfaccettature.

Tutti noi che operiamo negli sportelli di ascolto e nei Centri di riferimento regionali cerchiamo di vedere ogni persona nei contesti in cui si trova a vivere e a lavorare.
Una delle prospettive comuni è quindi l’idea, di cui tutti siamo convinti, che è sempre più importante e necessario considerare le persone nel loro contesto famigliare e nel loro contesto aziendale.

E qui si apre l’abisso della più grande difficoltà attuale: i cambiamenti avvenuti in questi anni nelle aziende e nelle organizzazioni pubbliche, nella società in generale, cambiamenti che condizionano le politiche sociali, economiche, sui diritti e sulla salute.

2. La PROATTIVITA’ di chi opera nei centri e nei punti di ascolto

Altro punto in comune, che ci caratterizza tutti a livello nazionale, è una constatazione molto positiva che ha tuttavia un suo limite.
Si tratta della proattività di chi lavora nei Centri di riferimento regionali, nei Punti di ascolto e nelle associazioni come la nostra a Firenze.
Se non ci fosse la proattività di queste persone (e sembra quasi che tutti combattiamo contro i mulini a vento) non si andrebbe avanti.

Per questo motivo si è detto che occorre dare continuità e stabilità ai centri e ai punti di ascolto. E’ indispensabile istituzionalizzare le strutture e creare centri di riferimento e punti di ascolto che abbiano vita lunga.
Perché?

Se il problema è sistemico, l’assistenza deve essere per forza a 360 gradi e di tipo multidisciplinare e ciò significa che i lavoratori devono essere seguiti e aiutati per lungo tempo.
E’ evidente che non è possibile dare un’assistenza continuativa se i centri non hanno continuità di vita.

Allora quali soluzioni possiamo darci tutti insieme?

Soluzioni comuni

Le soluzioni suggerite da tutti si possono riassumere in 3 F.

1. FORMARE

a. Tutti concordiamo sul fatto che manchi la cultura, la conoscenza dei vari aspetti del fenomeno e dei modi in cui si può affrontare e prevenire.
L’investimento più importante da fare è dunque nella cultura che significa moltiplicare gli sforzi per la formazione.
Formazione
a partire dai giovani, prima di tutto, ma darà risultati a lungo termine.

Fondamentale, nel qui e ora, è la formazione nelle aziende.

Come diceva Enzo Cordaro, uno dei limiti principali del Decreto 81/2008 è che non è cogente.
Proprio per questo motivo, il primo intervento a cui dovremmo puntare è proprio questo:
lavorare tutti insieme affinché ci sia un PIANO DI FORMAZIONE NAZIONALE che renda OBBLIGATORIA per tutte le aziende e organizzazioni, la formazione sul rischio stress e sul disagio lavorativo.

2. FORMALIZZARE

Formalizzare significa creare strutture stabili nel tempo. Abbiamo tanti giovani che, per fortuna, vogliono investire sulla propria professionalità e crescere in questo campo.
Ma se non c’è una base minima, se non diamo loro la possibilità di farlo con una certa continuità, non si andrà molto lontano.

3. FERTILIZZARE

Se le strutture hanno stabilità e continuità, possono formare i giovani e farli crescere in modo che possano sostituire le persone che vanno in pensione.

Fertilizzare significa anche scambiare, incrociare le esperienze, confrontarci molto di più di quanto abbiamo già cercato di fare in questi anni.

Significa dialogare tra i centri, il Centro di Pisa, Medicina Democratica, i centri di altre regioni, tra tutti coloro che si occupano di questi argomenti, significa mettersi insieme e ragionare per migliorare.
In una parola FARE RETE per darci le condizioni per crescere ancora insieme.

Direzioni di lavoro

A questo punto possiamo delineare alcune direzioni di lavoro comuni.

1. Puntare alla LEGGE NAZIONALE
La prima riguarda la carenza fondamentale: l’assenza di una legge nazionale.

Abbiamo alcune leggi regionali e stiamo lavorando a quella della Regione Toscana. E’ assolutamente arrivato il tempo di puntare decisamente alla legge nazionale.

Ringrazio Kathy Podestà che ci ha dato una buona notizia quando ha detto che avrà un incontro con due senatrici.
Noi siamo, ovviamente, disponibili a contribuire e a fare rete concreta, anche con tutti coloro che già hanno elaborato una proposta di legge nazionale, per spingere verso l’approvazione.

2. CAMBIARE IL LINGUAGGIO
L’altra direzione che vedo come molto importante è strettamente connessa alla prima F: “formazione e cultura”.

Forse dobbiamo cambiare la terminologia che usiamo normalmente perché come si chiamano le cose, a volte, è molto importante.
Allora parlare di “salute mentale nei luoghi di lavoro” invece che di disagio lavorativo, di mobbing, di tutti gli altri fenomeni psicosociali, delle psicopatologie del lavoro, può essere più facile da comprendere e da usare ?

Salute mentale sul lavoro forse può essere più accettato, è più vicino al linguaggio della gente, è più premiante perché più riconoscibile, perché viene capito meglio ?

Oggi, purtroppo, nella semplificazione del linguaggio necessaria perché il web ci costringe a semplificare il linguaggio per farci capire da tutti, forse è il caso di cambiare ?
E’ veramente una domanda che sottopongo a tutti voi perché può essere una direzione verso cui lavorare.

Non so se cambieremo la terminologia dominante. Forse non riusciremo a cambiare le parole che in genere usiamo ma, forse, cambiare “le parole per dirlo” può servire a far capire che si parla di una cosa molto seria, che ha dei costi enormi anche se ancora non sono ben quantificati.

Finisco quindi con una domanda invece che con una proposta, ma credo sia utile per aprire prospettive.

3. Fare rete per OTTENERE DATI oggettivi e quantificare i COSTI SOCIALI REALI

Torno a quanto detto un po’ da tutti.
Istituzionalizzare, formalizzare, dare continuità ai centri di riferimento e ai punti di ascolto ha un altro grande vantaggio: consente di studiare il fenomeno in modo organico e scientifico.

La ricerca scientifica in senso stretto è la ricerca medica di cui parla il dott. Nolfe.

Ma la ricerca socio-medica è fondamentale per capire le dimensioni del fenomeno, per capire i problemi e affrontarli al meglio.
Il fatto che i vari punti di ascolto e i centri di riferimento siano stabili nel tempo e inseriti in una rete  consente di avere una casistica che altrimenti non ci sarebbe.

Non si possono fare né ricerche né analisi approfondite senza raccogliere dati su larga scala ed elaborare, quindi, statistiche attendibili.
Inoltre, solo se ci sono dati attendibili e statisticamente validi è possibile definire quali sono gli effettivi costi per il sistema.

Al momento, infatti, non abbiamo dati nazionali sui costi reali per le aziende e la società. Abbiamo delle ipotesi, abbiamo delle stime, ma non abbiamo dati certi.
Di fatto, dopo tanti anni di lavoro, non siamo ancora in grado di misurare oggettivamente il fenomeno: è davvero arrivato il tempo di farlo.

La proposta finale

Concludo ringraziando vivamente il dottor Enzo Cordaro che, nelle battute finali del convegno, ha proposto di introdurre un nuovo nome per tutti i fenomeni che riguardano il malessere e il benessere lavorativo:
“Ecologia del posto di lavoro”, “ecologia del lavoro” che richiama “l’ecologia della mente” di Gregory Bateson e può essere una buona soluzione per dare una spinta nuova e aprire nuove strade.

Ancora Grazie mille a tutti.

 

Trascrizione e testo a cura di Nunzia Pandoli

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